24 febbraio 2013

Malattia: RETINOPATIA DIABETICA

 Per retinopatia diabetica si intende una complicanza del diabete dovuta al fatto che l’iperglicemia danneggia tutti i vasi sanguigni, soprattutto quelli di minor diametro, tra i quali anche i capillari della retina, queste complicanze possono portare alla perdita parziale o totale della vista.

La retinopatia costituisce un problema di notevole rilevanza: secondo alcuni dati, dopo circa 20 anni un'alta percentuale di pazienti affetti da diabete scompensato sviluppano la retinopatia.
Esistono due tipi di retinopatia diabetica:

  •   Forma non proliferante. I vasi alterati presentano zone di indebolimento, con dilatazione della parete (microaneurismi) e possono sanguinare producendo emorragie retiniche. Successivamente possono crearsi edema e/o ischemia. L’edema si verifica quando dalle pareti alterate dei capillari trasuda del liquido. Questo fluido provoca un rigonfiamento della retina (edema) o l’accumulo di grassi e proteine (essudati duri). L’ischemia è il risultato dell’occlusione dei vasi capillari; la retina, ricevendo sangue in quantità insufficiente, non riesce a funzionare correttamente. Ciò favorisce il passaggio alla forma proliferante. Se la forma non proliferante o retinopatia del background si associa ad edema maculare si può avere una graduale degenerazione della visione sia da lontano che da vicino. Questa particolare retinopatia spesso è asintomatica.

·        Forma proliferante. Quando i capillari retinici occlusi sono numerosi, compaiono ampie zone di sofferenza retinica (aree ischemiche ed essudati molli o cotton-wool spots). Queste zone di retina sofferente, nel tentativo di supplire alla ridotta ossigenazione, reagiscono stimolando la crescita di nuovi vasi sanguigni. Sfortunatamente questi neovasi sono anomali perché hanno una parete molto fragile e crescono a caso sulla superficie della retina. Essi sanguinano facilmente, dando luogo a emorragie vitreali, e portano alla formazione di tessuto cicatriziale, il quale, contraendosi progressivamente, può provocare il raggrinzimento e/o il distacco della retina. In caso di retinopatia diabetica proliferante la vista può presentare delle zone di discontinuità o può scomparire completamente.

Il miglior trattamento consiste nel prevenire lo sviluppo della retinopatia. Frequenti controlli della glicemia per evitarne gli sbalzi riducono molto il rischio a lungo termine di perdere la vista.
Se esistono problemi di alta pressione arteriosa o di elevate concentrazioni di grassi nel sangue, essi devono essere normalizzati.
 Un precoce trattamento della retinopatia può rallentare o prevenirne la progressione.
Con la fotocoagulazione laser si può ridurre l’edema retinico maculare, migliorando in genere almeno parzialmente la vista. Il laser distrugge inoltre le aree ischemiche che stimolano la crescita di vasi anomali. 
Nonostante la retinopatia diabetica possa causare cecità, la perdita della vista non è improvvisa ma graduale.
E’ dimostrato che una diagnosi ed un trattamento precoci rappresentano la migliore protezione contro la perdita della vista. 

18 febbraio 2013

Difetto visivo: IPERMETROPIA



Nell’ipermetropia l’immagine di un oggetto posto all’infinito si forma in un punto situato posteriormente alla retina. In questo caso l’occhio è costretto in continuazione ad un lavoro di accomodazione per inviare l’immagine sulla retina, che si traduce in disturbi continui, quali arrossamento  congiuntivali, dolori bulbari, mal di testa, affaticamento visivo, soprattutto nel lavoro da vicino.
L'ipermetropia è un difetto refrattivo molto diffuso nella popolazione; si stima infatti che l'ipermetropia colpisca circa cinque milioni di italiani, anche se è abbastanza difficile fornire cifre certe in quanto l'ipermetropia in molti casi non provoca sintomi o deficit visivi e conseguentemente passa inosservata. Nei primi anni di vita l'occhio è fisiologicamente più corto e la sua lunghezza non è ottimale per il potere refrattivo del diottro oculare. Al momento della nascita la percentuale dei soggetti affetti da ipermetropia è decisamente elevata, ma inizia a ridursi in modo progressivo con il passare del tempo.
L'ipermetropia riconosce diverse cause; la più frequente è senza ombra di dubbio un diametro del bulbo oculare più corto del normale; si parla in questo caso di ipermetropia assile (anche assiale); praticamente i raggi luminosi, che provengono da oggetti sia lontani che vicini, convergono in un punto che si trova dietro la retina, e quindi il soggetto ipermetrope vede male gli oggetti posti nelle vicinanze e, in parte, anche quelli più lontani.  Altre cause di ipermetropia possono essere una curvatura della cornea anteriore minore della norma, una curvatura della superficie del cristallino inferiore al normale, un indice di rifrazione della corteccia del cristallino superiore al normale, una distanza eccessiva fra cristallino e cornea. Più rara è l'ipermetropia dovuta all'assenza del cristallino (afachia).

Nel caso di bambini piccoli non è facile rendersi conto del problema perché se l'ipermetropia è molto leggera, la compensazione accomodativa fa sì che il problema resti asintomatico; talvolta, in corso di altre patologie, l'occhio del bambino sembra storcersi; il genitore che nota questo sintomo dovrebbe richiedere un controllo oculistico. Nei bambini piccoli con gradi di ipermetropia medio - alto il fenomeno sopracitato può ripetersi con maggiore frequenza.
Possono verificarsi diversi disturbi: la visione è annebbiata, gli occhi si arrossano, talvolta lacrimano e non è rara la presenza di bruciore, le palpebre si fanno più pesanti e si può avvertire anche un certo senso di sonno. Nei casi più severi, il continuo e notevole sforzo accomodativo indotto dall'ipermetropia può provocare l'insorgenza di strabismo. La diagnosi di ipermetropia deve essere posta dal medico oculista; un esame della vista integrato da varie tecniche strumentali è generalmente sufficiente a rilevare la presenza del difetto in questione.
Per la cura dell'ipermetropia possono essere utilizzate le stesse strategie viste per il trattamento della miopia ovvero: gli occhiali, le lenti a contatto e la chilurgia (laser).
Gli occhiali avranno lenti convergenti (positive) che faranno sì che i raggi luminosi cadano direttamente sulla retina e non dietro a essa; le lenti a contatto hanno lo stesso effetto degli occhiali.

14 febbraio 2013

Occhio e Anatomia


L’occhio è l’organo di senso principale dell’apparato visivo che ha il compito di ricavare informazioni sull’ambiente circostante attraverso la  luce.


Alcuni componenti fondamentali dell’occhio sono:
·         La retina che e’ un tessuto nervoso contenuto all’interno dell’occhio che serve a registrare le immagini che saranno poi inviate al cervello. L’immagine viene catturata da particolari cellule nervose chiamate fotorecettori;
·         Il nervo ottico è la struttura nervosa che collega l’occhio al cervello; è costituito da un prolungamento delle cellule nervose della retina;
·         Elementi sensoriali della retina:
o   I coni retinici sono deputati alla percezione dei colori e alla visione distinta. Sono di forma grossolanamente allungata, più numerosi al livello della macula e scarsi in periferia;
o   I bastoncelli retinici di forma allungata, presenti in numero maggiore alla periferia della retina e deputati soprattutto alla visione crepuscolare o notturna.

L’ acuità visiva è la capacità dell’occhio di distinguere due punti vicini, misurata dall’angolo minimo sotto cui devono essere visti perché l’occhio li percepisca separatamente. L’acuità visiva dipende dall’età del soggetto, aumenta fino al quinto anno per poi rimanere stabile,  dallo stimolo illuminazione, tempo di esposizione,contesto luminoso, dal potere di rifrazione dell’occhio  dal diametro pupillare, dall’integrità della retina, soprattutto dei coni retinici. L’acuità visiva è massima in corrispondenza della fovea centrale, nella macula della retina e diminuisce verso la periferia.
Il campo visivo è l’insieme dei punti dello spazio percepiti da un occhio immobile che guarda davanti a sé sul prolungamento dell’asse ottico. Con riferimento a entrambi gli occhi si parla di campo visivo binoculare. Il campo visivo varia in rapporto alle condizioni di luminanza ambientale: si hanno quindi un campo visivo fotopico (in piena luce), uno scotopico (nel crepuscolo pieno, o di notte) e uno mesopico (in penombra o quasi crepuscolo), in relazione all’attività soprattutto dei coni o dei bastoncelli o di entrambi.
L’occhio raccoglie la luce che gli proviene dall’ambiente, ne regola l’intensità attraverso un diaframma, l’iride, e la focalizza attraverso un sistema regolabile di lenti per formare un immagine e trasforma quest’immagine in impulsi elettrici che attraverso il nervo ottico vengono inviate alo cervello per essere interpretate.
Per minorazione visiva si intende la diminuzione o la perdita della capacità di vedere normalmente. È normovedente colui che vede da vicino e da lontano, ipovedente chi possiede una capacità visiva non completa, non vedente chi ha gravemente compromessa o completamente perduta (cecità) la capacità di vedere.
Molte gravi minorazioni visive rilevabili nel bambino sono di origine genetica, altre sono causate da infezioni o intossicazioni. Inoltre possono essere cause di compromissioni della vista,  le lesioni dell’occhio e del nervo ottico, tumori e traumi da parto e post-natali.

“Si intende per ipovedente o non vedente la persona portatrice di una disabilità visiva di entità tale da non consentire lo svolgimento delle comuni attività della vita quotidiana. Tale disabilità consegue ad una patologia irreversibile, che non può essere migliorata attraverso trattamenti medici e/o lenti convenzionali. Questi soggetti sono destinatari elettivi di interventi che nel loro insieme vengono definiti riabilitazione funzionale e visiva. E’ obiettivo fondamentale di questa riabilitazione dotare il soggetto di competenze che migliorino il suo livello di Autonomia, facilitando quindi il suo inserimento sociale. Essendo un intervento tecnico destinato a modificare la funzionalità, questa riabilitazione si configura sotto tutti gli aspetti come un atto terapeutico e non assistenziale”
 (Documento sulla riabilitazione dei minorati della vista, Unione Italiana Ciechi, Roma, 1996.)

11 febbraio 2013

prossimo argomanto

con questo post vorrei introdurre il nuovo argomento di cui vorrei trattare...
vorrei parlarvi di una malattia e di un difetto che possono causare cecità o ipovisione...
La retinopatia diabetica e l'ipermetropia.

6 febbraio 2013

Commento alle leggi


Personalmente ritengo che queste leggi siano molto utili perché nessuno dovrebbe essere messo in scuole speciali perché disabile, se non in casi davvero molto gravi, e che l’integrazione di cui si parla molto in queste leggi dovrebbe essere non solo a livello di istruzione ma anche a livello di vita nella società. Sono ancora molte le barriere architettoniche che impedisco a persone disabili di circolare liberamente e autonomamente quando possibile. Nel caso delle persone non  vedenti, per esempio, sono ancora troppo pochi, o non ci sono, semafori sonori, come in altri paesi europei, che sarebbero un grande aiuto per quelle persone non vedenti che camminano per strada in autonomia con l’aiuto del bastone, oppure solo di recente si iniziano a vedere mappe di musei o piantine della città con indicazioni in codice braille, quindi l’integrazione a scuola è una cosa utile, ma servirebbe anche l’integrazione all’esterno.

2 febbraio 2013

Legge 104/92


 Se la legge 517/77 viene considerata tra le migliori in questo campo, la sua applicazione pratica ha dimostrato alcune lacune, come la mancanza di norme che impongano la collaborazione tra i soggetti coinvolti, la scuola, la famiglia e le A.S.L..  A questo ha posto rimedio la legge 104/92 "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.".

 La legge stabilisce che l’ordinamento statale in materia di diritti, integrazione e assistenza della persona disabile deve raggiungere le seguenti finalità:

  •  Garantire il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona disabile e promuoverne la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società.
  • Prevenire e rimuovere le condizioni invalidanti che impediscono  lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona disabile alla vita della collettività
  • Perseguire il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni e assicurare i servizi e le prestazioni per la prevenzione, cura e riabilitazione delle minorazioni.
  • Predisporre interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione della persona disabile.

La definizione di handicap si ricava dall’articolo 3 della legge quadro in base al quale “è persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”

Per poter effettuare un adeguata azione di prevenzione è necessario distinguere i vari tipi e/o gradi di deficit, in base al comma 1 e comma 3 dell’articolo, si distinguono in   gravi (comma 1) e lievi (comma 3); in base a questa diagnosi il soggetto disabile ha diritto a serie diverse di tutele tutte specificate nel piano personalizzato predisposto dall’Asl in accordo con il Comune.
Di norma il soggetto disabile ha bisogno di interventi sociali e sanitari che durano nel tempo e che variano da soggetto a soggetto, ovvero di “piani individualizzati”, che sono necessari per la piena integrazione del disabile nell’ambito della vita familiare, sociale, nei percorsi d’istruzione scolastica e/o professionale e nel mondo del lavoro.

La legge 104/92 mette molto in rilievo l’integrazione scolastica, che si realizza con l’integrazione della persona  disabile nelle classi comuni di ogni ordine e grado e nelle università.  L’articolo 12, infatti, garantisce l’inserimento negli asili nido, nelle scuole materne, nelle sezioni e nelle classi comuni delle scuole dell’obbligo, e nelle sezioni e nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, comprese le istituzioni universitarie.

Nella scuola secondaria di primo e di secondo grado  sono garantite attività di sostegno, realizzate con l’insegnante di sostegno, dopo che hanno acquisito la documentazione della Diagnosi Funzionale (diagnosi medica fatta dalla ASL somministrando al soggetto dei test con lo scopo di descrivere come l’allievo ragiona evidenziando i punti di forza e i punti di debolezza del soggetto disabile), predisponendo poi un Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.) alla cui definizione collaborano i genitori, tutti gli insegnanti del Consiglio di Classe, dagli insegnanti di sostegno, dai genitori dell'alunno in collaborazione con l'Unita Multi-professionale della ASL. Per la valutazione del rendimento scolastico gli insegnanti devono attenersi agli obbiettivi conoscitivi (minimi o differenziati) stabiliti dal P.E.I..
L’allievo frequentante la scuola secondaria di secondo grado, nell’eseguire le prove scritte o grafiche, ha diritto a prove equipollenti e tempi di esecuzione più lunghi e alla presenza del professore di sostegno e all’uso degli ausili a lui necessari.

Agli allievi che hanno assolto l’obbligo scolastico, ma non sono in grado di proseguire gli studi,  viene garantito un attestato di qualifica professionale rilasciato dai centri di formazione professionale a seguito della frequenza di corsi specifici per questi soggetti e hanno diritto ad un inserimento lavorativo agevolato dal S.I.L.

31 gennaio 2013

Legge 517/77


La legge 517/77, "Norme sulla valutazione degli alunni e sull'abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di modifica dell'ordinamento scolastico", che rappresenta il punto di riferimento per la legittimazione del diritto a frequentare le scuole comuni da parte dei disabili. Per la scuola dell’obbligo si è  voluto favorire l’attuazione del diritto allo studio di ciascun alunno in particolare degli alunni disabili dando disposizioni per l’integrazione scolastica nelle scuole elementari e medie (articoli 2 e 7) e  introducendo anche il tema della programmazione educativa individualizzata( P.E.I.) e delle attività didattiche di sostegno.

29 gennaio 2013

Documento Falcucci


Il Documento Falcucci delinea come la scuola facendo riferimento all’organizzazione dovrebbe favorire i processi di socializzazione e valorizzare l’intelligenza logico-astrattiva e pratica. Tuttavia in questo documento si  evidenziava anche il fatto che si cercava di separare il meno possibile  le iniziative di recupero e di sostegno della normale attività scolastica cercando di offrire a tutti la possibilità di azione e di sviluppo evitando di legare gli svantaggi della separazione dal gruppo, più stimolante, degli alunni “normali” ai vantaggi dell’intervento individuale. Il documento Falcucci inoltre mirava alla riduzione non solo del numero di alunni disabili all’interno di una classe ma anche del numero complessivo di studenti come gruppo classe che non doveva superare i 20 ragazzi. Il numero di eventuali minori portatori di handicap dovreva essere deciso dall’équipe formata dai docenti della classe e dagli specialisti. Si intendevano per handicappati i "minori che in seguito ad evento morboso o traumatico intervenuto in epoca pre- peri- e post-natale presentino un menomazione delle proprie condizioni fisiche, psichiche e/o sensoriali, che li mettano in difficoltà di apprendimento o di relazione".

25 gennaio 2013

Introduzione alle leggi



L’articolo 34 della Costituzione sancisce il diritto allo studio a tutti sostenendo che “la scuola è aperta a tutti”,  e che l’istruzione inferiore è obbligatoria e gratuita per i primi otto anni; inoltre sostiene che I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.”, per fare questo la Repubblica concede borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze attribuite attraverso concorso, sviluppando così il Welfare State.


La legge 118/71 "Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili." detta le norme fondamentali dell’integrazione  scolastica, anche se riguardava solo i mutilati e gli invalidi veniva utilizzata anche per l’integrazione degli studenti portatori di qualsiasi disabilità.


Ci fu quindi un inserimento selvaggio perché questi alunni venivano inseriti nelle classi anche in assenza degli interventi essenziali come professori di sostegno e piani individualizzati. Dopo il fenomeno dell’inserimento massivo che comportava disagio, il Ministero nel 1975 creò una commissione di studio che elaborò il Documento Falcucci che viene considerato come la “Magna Carta” dell’integrazione.

21 gennaio 2013

Ho finito con la parte relativa all'apprendimento, con i prossimi post vorrei iniziare a parlarvi delle leggi che hanno favorito l'ingresso delle  persone non vedenti nelle strutture scolastiche pubbliche, infatti, fino agli anni '70 queste persone non potevano frequentare una scuola normale, come si vede nel film che vi ho consigliato di vedere, perchè ritenute prive del futuro da loro desiderato.

16 gennaio 2013

L'apprendimento mediante gli altri sensi


La vista stimola costantemente il bambino all’azione e all’apprendimento permettendo di familiarizzare con le caratteristiche fondamentali degli oggetti come la permanenza (l’oggetto esiste ancora quando il bambino non lo vede più) la conservazione (gli oggetti cambiano la forma ma mantengono le stesse qualità) e la complessità (mela rotonda, rossa rugosa).

Il tatto e l’udito, invece, non assolvono pienamente a queste funzioni. Il tatto è il senso della staticità e del particolare, con esso infatti è difficile acquisire i cambi di forma di un oggetto e con il tatto si colgono pochi aspetti e pochi particolari dell’oggetto che non permettono al bambino di avere un immagine mentale, è molto importante quindi aiutare il bambino nell’esplorazione minuziosa e generale dell’oggetto.
 Il bambino vedente è facilitato dalla vista a effettuare un processo di generalizzazione mentre un bambino non vedente deve essere guidato progressivamente.
Il bambino non vedente non è predisposto ad utilizzare le manine spontaneamente, infatti spesso le tiene lungo il corpo o in bocca, dovrà essere l’adulto a indurre il bambino a utilizzare le mani. L’adulto dovrà quindi porgere gli oggetti al bambino e deve poi guidargli le mani alla scoperta di essi.
La voce dell’adulto dovrà fungere sempre da guida alle esplorazioni del bambino per poterlo aiutare a costruirsi un immagine dettagliata della realtà.
Anche l’udito, altro senso che permette di localizzare gli oggetti distanti, è un canale di apprendimento, in quanto le fonti di rumore attirano il bambino. Al contrario del bambino vedente, che percepisce la permanenza a suono esaurito, per il bambino non vedente appena scompare il rumore scompare anche l’oggetto.
L’impiego di oggetti sonori serve per far apprendere al bambino la permanenza degli oggetti. L’udito gli servirà inoltre a riconoscere e anticipare azioni di routine, per esempio riconoscendo il rumore dell’acqua che riempie la vasca.
Anche l’olfatto e il gusto vanno sempre stimolati affinché il bambino possa avere una percezione più completa dell’ambiente; l’adulto sottolineerà il gusto e il profumo tipici di diverse pietanze o ambienti.

7 gennaio 2013

apprendimenti linguaggio e comunicazione


Anche nell’ apprendimento del linguaggio, la vista gioca un ruolo molto importante. Sarà opportuno per il bambino non vedente che l’adulto gli faccia toccare il suo apparato fonatorio (posizione/movimenti di labbra, bocca e lingua) evitando poi l’uso di sinonimi e  arricchendo con descrizioni le denominazioni del bambino ampliando così il suo lessico. È importante che il bambino utilizzi la parola associandola al suo oggetto e non a una sua parte.  Un problema frequente a cui ricorrono questi bambini è quello del verbalismo, ovvero danno la definizione precisa di un oggetto ma non ne hanno un immagine mentale.
È importante quindi stare attenti a significato che il bambino dà alle parole fin dai primi mesi di vita.
Inoltre il bambino non vedente non percepisce gestualità e mimica facciale; risulterà quindi difficile per queste persone comprendere i tempi e le dinamiche della conversazione, cogliere verso chi è diretta l’attenzione e, allo stesso tempo, sarà difficile per l’adulto capire se il non vedente è attento a quello che viene detto o fatto.

4 gennaio 2013

Apprendimenti cognitivi


L’assenza della vista provoca ritardi nella sfera degli apprendimenti cognitivi anche se da questo punto di vista i bambini non vedenti hanno le stesse capacità dei bambini vedenti.
Come già affermato il bambino non vedente raggiunge tardivamente la permanenza dell’oggetto, ovvero comprende più tardi il fatto che l’oggetto nonostante non emetta più alcun suono è comunque presente ma che si trova al di fuori della portata delle sue mani. Quest’acquisizione è molto importante perché permette di far comprendere al bambino che gli oggetti si possono riutilizzare e quindi stimola il bambino alla ricerca e alla locomozione.
È possibile che il bambino incorra nella distorsione della “fatina magica” credendo quindi che gli oggetti si materializzino dal nulla come al tocco di una bacchetta magica. È necessario quindi che l’adulto spieghi sempre le tappe di un processo, affinché il bambino smantelli da subito le credenze magiche infondate. Risulta  però difficile che un bambino possa farsi l’idea di un oggetto molto grande sarà sempre compito dell’adulto descrivere verbalmente l’oggetto.
Attorno ai 18 mesi il bambino è in grado di svolgere il “gioco simbolico” (utilizzare un oggetto facendo finta che sia un'altra cosa es. scatolone come macchina), quest’attività è molto importante perché fa capire che il bambino si è fatto un immagine mentale dell’oggetto e del suo utilizzo.
Il gioco simbolico, insieme all’imitazione e al linguaggio, è l’indizio da cui capire che il bambino possiede un intelligenza rappresentativa; il gioco simbolico nel bambino non vedente comparirà a partire dal secondo anno di vita.